Legge Elettorale: ma i «bachi» possono mandarlo in tilt

Michele_prospero

Pare che la Commissione Affari costituzionali della Camera abbia deciso di rimettere le mani sul testo della riforma elettorale che era stato appena licenziato e sottoposto all’esame dell’aula. Gli estensori della nuova normativa elettorale si sono infatti accorti che alcune formulazioni contenute nel documento già passato al vaglio delle pregiudiziali di costituzionalità erano tecnicamente ambigue e paradossali nella loro ricaduta applicativa.

Nei giorni scorsi era stata proprio l’Unità a rimarcare il risvolto logicamente assurdo del dispositivo presente nell’articolo 14 (punto 3a) della legge elettorale in discussione. Una formula elettorale che, inseguendo il miraggio di poter conoscere la sera stessa del voto il volto del sicuro vincitore, si ritrova in realtà nella paradossale condizione di esprimere un Parlamento vacante per la sostanziale impossibilità di assegnare i seggi previsti dalla Costituzione per l’organo della rappresentanza.

Nel caso di una coalizione composta da piccole formazioni tutte quante attestate al di sotto della soglia di sbarramento prevista, si apre comunque l’opportunità di accedere alla ripartizione dei deputati e persino la chance di giocarsi la gara del ballottaggio se in essa è ospitata una lista delle minoranze linguistiche riconosciute nelle Regioni a statuto speciale (e con una cifra elettorale territoriale pari al venti per cento). Il paradosso è eclatante e tale da far esplodere il congegno.

Una micro lista collegata a una delle minoranze linguistiche è posta in condizione di conferire pienezza competitiva formale alla coalizione di appartenenza sebbene sprovvista di partiti con almeno il 4 per cento dei suffragi. Con una consistenza quantitativa al di sotto del 4 per cento sul piano nazionale, la sola formazione in grado di fare il pieno dei seggi è proprio quella delle minoranze riconosciute. E allora a una micro formazione del Trentino andrebbero ricondotti tutti i seggi conquistati dalla coalizione. In un ipotetico successo al ballottaggio, i 340 deputati spettanti alla coalizione che ha trionfato andrebbero attribuiti alla minoranza linguistica che però nei collegi ha presentato in tutto dieci candidati.

La stessa condizione paradossale di un parlamento sprovvisto della consistenza numerica sancita dalla Costituzione per la funzionalità dell’organo si produrrebbe qualora a conferire la formale pienezza competitiva a una alleanza elettorale di liste tutte rimaste al di sotto della soglia di sbarramento introdotta fosse un partito territoriale con un consenso di almeno il 9 per cento riscosso in tre Regioni diverse. Il ginepraio dei premi e degli sbarramenti condurrebbe all’esito paradossale di un micro partito locale cui spetterebbero 340 seggi sebbene abbia presentato nei collegi plurinominali un numero complessivo di candidati largamente inferiore. La terra promessa della governabilità imposta per legge approda nelle sabbie mobili di un Parlamento incompleto nella sua composizione e bloccato nella sua funzionalità.
Un vizio non meno imbarazzante si toccherebbe quando una sola lista supera il 4 per cento e guida la sua coalizione al ballottaggio. Con una modesta dotazione di voti, e in virtù di una norma sanguisuga che l’autorizza a succhiare tutti i consensi delle formazioni evirate dalla soglia di sbarramento, potrebbe riscuotere o il premio minor (circa 130 seggi previsti per la coalizione con almeno il 12 per cento dei consensi) o il premio major (340 deputati appannaggio del blocco vincitore al ballottaggio).

Anche il dato meno esplosivo, e più in sintonia con la reale dislocazione delle forze, e che vede un partito del 20 per cento guidare la coalizione alla contesa per il premio non è privo di incongruenze capaci di attirare le attenzioni della Consulta. Un partito con il 20 per cento può lucrare la rendita parassitaria lasciata dai partiti estromessi dalla divisione dei seggi e godere in perfetta solitudine il premio della maggioranza assoluta.
La gara a ostacoli con premi, esclusioni, sbarramenti contiene in nuce la possibilità di determinare una profonda alterazione dei requisiti della rappresentanza e dell’eguale potere in astratto conferito a ciascuna espressione di voto così saldamente scolpiti dalla sentenza della Consulta.

Il meccanismo premiale non può spingersi sino alla stravolgimento dei requisiti funzionali di un sistema istituzionale a base parlamentare. Il sospetto di incostituzionalità accompagna da vicino il plusvalore accordato al partito-coalizionale oltre ogni logica e coerenza. La scure della Corte costituzionale potrebbe abbattersi con asprezza contro un congegno che paga la promessa della governabilità con la castratura della logica della rappresentanza

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