Decide di lasciare moglie e figli in Marocco….storia di caporalato e sfruttati

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di Alfonso Vannaroni – Decide di lasciare moglie e figli in Marocco. Con mezzi di fortuna attraversa l’Algeria, la Tunisia e poi la Libia fino Tripoli, dove in cambio di 5mila euro trova spazio su una carretta del mare con destinazione Lampedusa. E’ una storia come tante, quella che A.G. – un uomo di origine marocchina – ha raccontato alla Flai Cgil. E’ una delle tante vicende umane contenute nel secondo dossier ‘Agromafie e Caporalato’, curato dall’osservatorio Placido Rizzotto. Sono tutte storie mosse dalla speranza di un futuro migliore, ma che il più delle volte si trasformano in un incubo chiamato sfruttamento.

Quando nel 2008 A.G. attraversò il mediterraneo non sapeva che ad aspettarlo c’erano caporali pronti a schiavizzarlo nei campi. E non pensava che nel suo peregrinare tra le campagne italiane si imbattesse anche nell’inferno pontino, dove la Flai Cgil ha rilevato condizioni di lavoro indecenti e di grave sfruttamento. E’ invece è accaduto. Nel 2010 per tre mesi raccoglie pomodori ad Aprilia con una paga di circa quindici euro per dieci ore di lavoro al giorno, dormendo in un alloggio di fortuna. Non tutto il pattuito però gli viene corrisposto, perchè – racconta – “c’era da pagare il costo dell’alloggio”. A.G. si spinge pochi chilometri più in là: raggiunge Cisterna di Latina e trova un’altra occupazione, sempre in agricoltura. Lavora per due mesi, ma non viene pagato. Chiede spiegazioni e in cambio riceve percosse. Allora va a Terracina, anche qui le condizioni di lavoro sono dure, indegne per un essere umano. Decide così di denunciare l’ultimo datore di lavoro, perchè lo percepisce come l’ennesima persona che si approfitta di lui, ma alla fine rinuncia. Neanche gli operatori della Cooperativa sociale Parsec, che per pochi giorni lo avevano aiutato, hanno saputo più nulla di lui.

Dal dossier della Flai Cgil emerge come il lavoro nero e altre forme di sfruttamento siano peggiorate nella provincia pontina, come anche in altre aree italiane. Ma le colpe sono da ricercare in tutti. “La figura del caporale – scrive il sindacato – rischia di offuscare il ruolo e la funzione dominante dell’imprenditore e del sistema di imprese socialmente irresponsabili. Invece, non è altro che un collaboratore stretto dell’imprenditore, il tramite per facilitare l’incontro della domanda e dell’offerta”. Intanto dall’introduzione nel codice penale del reato di caporalato sono circa 355 i caporali arrestati o denunciati, di cui 281 solo nel 2013. Ma per un Paese civile, non resta che applicare la direttiva Ue 52/2009, quella che dispone di individuare e punire anche l’utilizzatore finale. Praticamente anche chi sfrutta oggi i tanti A.G, colpevoli di sognare un futuro migliore. (da il Quotidiano Latina 18 Luglio 2014)

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