Emilia Romagna, hanno vinto i ragazzi. Ma ora il Pd cambi davvero

28 GENNAIO 2020|IN SINISTRA|DI ROBERTO MORASSUT

Il voto emiliano accende una nuova luce su possibili scenari politici del prossimo futuro in Italia e in Europa.
Sottolineando il termine “possibile” ed avendo ben chiara la stretta relazione che sempre intercorre in politica tra l’azione soggettiva e volontaria e le circostanze oggettive, non si può fare a meno di vedere in questa consultazione elettorale il fremito di un cambiamento di orientamenti generali dell’opinione pubblica.
C’è in campo una nuova generazione, in tutta Europa, in tutto il mondo. Questa è la prima costatazione da fare, per via empirica.

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Una generazione di giovani e giovanissimi che assume la questione ambientale come questione politica generale che mette in discussione il cuore del modello di sviluppo e di vita del dopoguerra, un modello quantitativo che anche la sinistra operaia ha fatto suo, seppur con presupposti radicalmente opposti al “logos” borghese.

Giovani senza futuro

Questa nuova generazione avverte la possibilità di essere la prima generazione della storia dell’umanità a non avere un futuro; avverte che nel cambiare questo tipo di capitalismo non ha che da “perdere le proprie catene” che la inchiodano al rischio della stessa sopravvivenza.
Questa nuova generazione si pone, su scala internazionale, il problema delle crescenti diseguaglianze, della restrizione degli spazi della democrazia e della emergenza climatica, legandoli insieme.
Torna un “nuovo internazionalismo”, che non avevamo previsto come effetto dialettico della globalizzazione ed il messaggio di Papa Francesco fornisce un respiro epocale e unificante a queste speranze e a questa necessità di cambiamento.
Comincia ad apparire più chiaramente che il destino degli uomini e delle donne di questo secolo, già abbondantemente avviato, non potrà risolversi nel ghetto delle gabbie nazionali ma ha bisogno di multilateralismo e di cooperazione, di una forma di “governo mondiale”, per ricordare una profetica espressione di Enrico Berlinguer.
L’Europa ha iniziato un percorso nuovo lungo il quale c’è ancora moltissimo da camminare, ma ha iniziato.

La transizione green

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La cosa più importante sta nel fatto che si è posta finalmente davanti una nuova missione, una missione di grande respiro sociale, che va oltre la sostenibilità finanziaria man investe la sua natura statuale e l’obiettivo di un nuovo paradigma economico e sociale: quello del Green New Deal.

Ci si interroga già su come reperire le risorse proprie necessarie a finanziare questo grande progetto senza gravare sui bilanci nazionali e si individua nella fiscalità europea verso le grandi multinazionali, in primo luogo i giganti del web, lo spazio per una nuova politica economica che rafforzi il pilastro sociale europeo e avvii la transizione green.
Chi ha potuto partecipare al Convegno di Assisi, organizzato dalla Fondazione Symbola e dalla Comunità francescana la scorsa settimana, ha avvertito palpabilmente che esiste un enorme e concreto spazio di azione per cambiare rotta.

Un nuovo modello sociale per l’Europa

Questa difficile Europa, fragile e incerta, frazionata e complessa può tornare a recitare in un tempo non lontano una nuova leadership epocale sul mondo intero. Non con la forza delle armi e di un nuovo colonialismo ma con la forza di un nuovo modello sociale.
L’Europa sperimenta nuovi traguardi energetici, punta alla completa neutralità climatica entro il 2050, punta ad investire sulla ricerca sull’innovazione applicata a nuove produzioni strategiche ed in questo sfida le oligarchie continentali ed i sistemi sociali ed economici ancora guidati dal dominio dei fossili e che oggi ancora dettano legge e condizionano la vita di miliardi esseri umani, mettono a rischio la sopravvivenza degli ecosistemi e di migliaia di specie viventi.
L’Europa si appresta a lanciare questa sfida. Ma serve una nuova sinistra anche solo per sperare di vincerla.
Pensiamoci: queste circostanze e queste condizioni apparivano, solo pochi mesi fa, del tutto astratte.
Oggi siamo in grado di renderci conto che una nuova Europa, una nuova coscienza generazionale internazionale, nuove risorse per finanziare un diverso modello di crescita e di occupazione possono incontrarsi se la sinistra, i movimenti democratici che animano il continente saranno capaci di raccogliere questa sfida rinnovando se stessi.

La sfida davanti al Pd

Il voto emiliano risente anche, secondo me, di questo fermento, di questo moto che si muove sotto la pelle della società e che impone al Pd e al governo di cui fa parte una nuova lettura e interpretazione dei fatti e una nuova azione politica e amministrativa.
Sull’azione del governo si è svolto un seminario a Rieti solo poche settimane fa che ha sintetizzato le linee di azione che il Pd propone per una nuova fase del governo stesso e quindi rimando integralmente alle conclusioni che Nicola Zingaretti ha svolto in quella occasione.
Sul partito, le considerazioni svolte fin qui, confermano in me quanto sostengo ormai da tre anni.
Si deve aprire un nuovo ciclo del cammino dei Democratici, una terza fase, dopo quella dell’Ulivo e dopo quella del Pd del Lingotto. Due fasi durate non a caso dieci, dodici anni, il tempo di una generazione politica.
La sconfitta del referendum istituzionale alla fine del 2016 aveva già evidenziato questa necessità e posto nei fatti l’esigenza di sviluppare l’esperienza del Pd, attraverso un percorso Costituente, in un nuovo soggetto politico “democratico” ma con una forma relazionale aperta alla società molto più efficace ed osmotica di quanto, nel tempo recente, il Pd non abbia dimostrato di possedere.

L’illusione dei Cinque stelle

La crescita impetuosa del Movimento Cinque Stelle, negli anni passati, era anche in parte la spia di questa esigenza che ha portato migliaia di elettori di sinistra e democratici a scegliere diversi approdi ma la parabola del “Movimento”, la necessita di confrontarsi concretamente col governo reale, unita all’errore di aver scelto all’inizio l’alleanza con la Lega, ha infranto quelle illusioni e pone oggi, agli stessi Cinque Stelle, il tema di una ricollocazione della loro esperienza in una chiave “riformista” come ha recentemente affermato Patuanelli.
Quindi il Pd deve adesso davvero cambiare e ristabilire le condizioni per essere una forza a vocazione maggioritaria anche se il nuovo sistema elettorale dovesse orientarsi in senso proporzionale.

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Io credo, in realtà, che noi non dovremmo abbandonare del tutto l’opzione maggioritaria e presto potremmo accorgerci che essa è ancora valida anche per la stabilità e successo del campo democratico. Ma le due cose non configgono, in realtà, del tutto.
La Lega ha costruito in poco tempo un movimento a vocazione maggioritaria dentro un sistema elettorale proporzionale.

Quali idee? quali valori?

Quel che conta, al di la di tutto, è la politica e cosa si intende rappresentare, con quali idee, con quali valori.
Il prossimo Congresso del Pd offre l’occasione per ragionare su questo e per avviare il progetto di un soggetto politico democratico che interpreti, con una originale e innovativa azione soggettiva, le nuove circostanze e le nuove condizioni che si vanno profilando e che senza la politica rischiano di rifluire o restare inerti.
Ho più volte detto a che tipo di Congresso penso. Un congresso che deve partire da una base solida, un “Documento fondamentale per l’Italia e per l’Europa” che porti a sintesi le nostre più recenti e maturate riflessioni e le consolidi attraverso il contributo di un arco vasto di forze intellettuali e scientifiche, raccolte in una Commissione.
Questo Documento dovrà poi viaggiare in tutta Italia ed essere emendato, integrato, sviluppato attraverso l’apporto della rete delle organizzazioni civiche, politiche e associative che si muovono anche oltre il Pd nei territori, nei luoghi di studio e di lavoro. In questo modo potrà davvero realizzarsi concretamente quella “apertura” che sempre evochiamo ma che non sappiamo come strutturare.

Aprire alle reti partecipative

Ci serve una nuova e più vasta base associativa che guardi a tutti i democratici che si impegnano in reti partecipative più ampie del Pd. Questo mi sembra il passaggio essenziale, anche dal punto di vista giuridico interno, senza il quale non si farà un passo avanti sulla strada della evocata “apertura”.
Come è evidente questa condotta comporta una consapevole messa in discussione delle rendite di posizione maturate da tutti all’interno dell’attuale Pd e l’investimento in un pluralismo di persone, gruppi e idee più ampio e complesso rispetto al quale i gruppi dirigenti consolidati, a tutti i livelli, saranno chiamati a misurarsi sul terreno della proposta politica, uscendo dalla sola dimensione del confronto di corrente.
Non vedo altra strada, onestamente, per riaprire il circuito virtuoso e vitale per la sinistra del rapporto tra intellettuali e popolo: chiamare energie culturali e scientifiche e connetterle in modo caldo e fisico con un nuovo popolo, una nuova generazione che c’è, è davanti a noi e creca spazio.
In questo contesto si inquadra la questione del nome che non è un fatto di superficie o di marketing.
Per me va bene “Democratici”.

Più democrazia, oltre il socialismo

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Questo nome esprime ciò per cui lottiamo in questo mondo e in questa Europa: una nuova civiltà di diritti individuali e collettivi che supera persino la dimensione del “socialismo” che sacrifica o trascura in qualche modo lo spazio della persona singola, nel suo arco valoriale.
Questo mondo chiede più democrazia: economica, sociale. Chiede assai più del “socialismo” e va molto oltre l’idea democratica intesa come metodo borghese.
Questo nome supera l’idea che lo spazio assoluto di sintesi di ciò che la società esprime nelle sue più diverse forme di partecipazione debba avere un carattere verticale, come un tradizionale partito.

Servono un principio ed una modalità “circolare”, come in economia, nella quale si realizzi un mutuo e continuo scambio dall’alto al basso e nel quale le gerarchie e le responsabilità non siano simmetriche ma variabili, a seconda delle condizioni, dei territori e dei temi.
Funzionano cosi le aziende moderne che hanno superato il paradigma della gerarchia verticale e di  un tomismo organizzativo che invece restringe spazi e limita talento e creatività.

Non partito, movimento

In questo senso ho parlato di “movimento democratico”. Anche per sottolineare la inevitabile necessità di navigare in quella liquidità di forme contemporanee che Zygmund Baumann ci ha svelato come chiave della contemporaneità.
Il superamento della parola “partito” cui sono affezionato sancisce il superamento di una modalità, rende percepibile a tutti la possibilità reale di un nuovo inizio che è cosa diversa da una rigenerazione e soprattutto elabora una grande lezione della filosofia politica del Novecento che ha riconosciuto il valore dell’estetica come parte integrante dell’essere.
Sei anche ciò che appari da Heidegger in poi e la politica del Novecento ha costruito la storia anche su questo, talora eccedendo.

Le sardine, e gli altri

Su questa strada potremo incontrare non solo le sardine ma i mille impulsi spontanei e sani che questa fremente società europea e occidentale ci propone oggi e ci proporrà sempre di più nello scorrevole mondo futuro del 5G e della velocità spazio temporale, delle migrazioni e del mescolamento permanente.
Questo credo debba essere il nostro cimento per “aprire”, non “inglobare” e aiutare una nuova generazione che in forme inedite sembra aver ripreso a camminare nella direzione giusta, con la testa aperta al mondo e al futuro.
Lungo questa strada il tempo del sovranismo potrebbe non essere troppo lungo. Dipende anche da noi.

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