L’azienda più liquida d’Italia? Gli italiani (Censis)

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Boom di contanti e depositi bancari: 234 miliardi in più rispetto al 2007 (+9,2%). Nella crisi consumi azzerati, investimenti immobiliari dimezzati, liquidità delle famiglie salita a 1.209 miliardi. Ecco che fine hanno fatto i soldi degli italiani.

Roma, 20 settembre 2014 – Boom di contanti e depositi bancari. Negli anni della crisi gli italiani hanno preferito tenere i soldi cash o fermi sui conti correnti, a disposizione per ogni evenienza. Il valore di contanti e depositi bancari è aumentato di 234 miliardi di euro negli ultimi sette anni. Le consistenze sono passate dai 975 miliardi di euro del 2007 a una massa finanziaria di 1.209 miliardi nel marzo 2014, con un incremento del 9,2% in termini reali. Oggi costituiscono il 30% del portafoglio delle attività finanziarie delle famiglie, mentre erano solo il 25% nell’anno prima della crisi. Incertezza, paura, cautela spingono gli italiani a tenere i soldi vicini, subito pronti all’occorrenza e per tamponare i rischi. Nello stesso periodo sono aumentati anche i soldi accantonati con assicurazioni e fondi pensione: +125 miliardi di euro (+7,2%). E le polizze vita sono tornate a funzionare come «salvadanaio» per molti italiani: i premi raccolti sono aumentati da 63,4 miliardi di euro nel 2007 a 86,8 miliardi nel 2013 (+21,3% in termini reali). Azzerati i consumi (-7,6% dal 2007 a oggi), dimezzati gli investimenti immobiliari (dalle 807mila compravendite di abitazioni del 2007 alle 403mila del 2013), ecco che fine hanno fatto i soldi degli italiani.

In aumento la propensione al risparmio. Dal secondo trimestre del 2012 si registra una inversione di tendenza da parte degli italiani nella creazione di risparmi, che hanno ripreso un trend crescente, passando da 20,1 miliardi a 26 miliardi di euro nel primo trimestre del 2014, con un incremento nel periodo del 26,7% in termini reali. La propensione al risparmio è salita dal 7,8% al 10%, pure a fronte di una riduzione nello stesso periodo dell’1,2% del reddito disponibile delle famiglie e nonostante la bassa inflazione abbia attenuato la caduta del potere d’acquisto. Meno redditi, meno investimenti, zero consumi, più risparmi: questo il trend degli italiani al tempo della crisi.

L’incertezza può diventare paranoia. «Meglio restare liquidi, non si sa mai» è la parola d’ordine degli italiani in questa fase. I soldi servono per fronteggiare difficoltà inattese e sentirsi le spalle protette. Ma la paura di cadere può diventare paranoia. Il 33% degli italiani teme di diventare povero. E solo il 30% sente di avere le spalle coperte dal sistema di welfare, mentre la percentuale sale al 58% in Spagna, 61% nel Regno Unito, 73% in Germania e 74% in Francia. In un contesto così difficile, con crescita e occupazione che non ripartono, gli italiani pensano sia essenziale proteggersi in caso sopravvenga una malattia, la perdita del lavoro o semplicemente per fronteggiare le spese impreviste. Il 44% risparmia per far fronte ai rischi sociali, di salute o di lavoro, il 36% perché è il solo modo per sentirsi sicuro, il 28% per garantirsi una vecchiaia serena. La crisi di fiducia spinge a usare i soldi a scopo precauzionale, così vince la difesa dalle insidie inattese, piuttosto che lo slancio verso l’investimento che rende nel tempo o l’immissione nel circuito virtuoso dei consumi.

Riparte il risparmio gestito. Avere liquidità disponibile ha continuato ad essere la scelta primaria di tutti gli italiani, anche di quelli che, a caccia di buoni rendimenti, sono tornati progressivamente a mettere soldi nel risparmio gestito e nelle azioni, dopo il crollo degli interessi sui titoli del debito pubblico (l’emissione di Bot del 15 dicembre 2011 dava un rendimento del 5,9%, a giugno 2014 era sceso allo 0,4%). Le consistenze delle quote dei fondi comuni hanno ricominciato ad aumentare dal secondo trimestre del 2012: +82 miliardi di euro al marzo 2014, con una crescita in termini reali del 31%. Le azioni sono ripartite un anno dopo, dal secondo trimestre del 2013: +140 miliardi di euro al marzo 2014, con una crescita del 17% in termini reali.

Questi sono i risultati del 9° numero del «Diario della transizione» del Censis, che ha l’obiettivo di cogliere e descrivere i principali temi in agenda in un difficile anno di passaggio attraverso una serie di note di approfondimento diffuse nel 2014. I numeri precedenti sono stati: «L’austerity ha stancato gli italiani: sobri sì, asceti no» (28 aprile), «Crescono le diseguaglianze sociali: il vero male che corrode l’Italia» (3 maggio), «I disabili, i più diseguali nella crescita delle diseguaglianze sociali» (17 maggio), «Acqua: tariffe più basse d’Europa e record di acqua minerale, acquedotti colabrodo e depuratori carenti» (24 maggio), «Scuola: intonaci che crollano, rubinetti che perdono e vetri rotti» (31 maggio), «Cattiva reputazione per l’Italia: -58% di investimenti esteri dall’inizio della crisi» (7 giugno), «Lo spread digitale costa all’Italia 10 milioni di euro al giorno di minori investimenti in reti, tecnologie e servizi innovativi» (5 luglio), «Decollo della scuola digitale? La bolletta per internet veloce è di 7,9 euro al mese per studente» (13 settembre).

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