In questi giorni, sono molti a criticare i comportamenti e le scelte del Movimento cinque stelle, ed è giusto. La gazzarra che i suoi rappresentanti hanno inscenato in Parlamento non ha molti precedenti e va condannata con severità, come ha fatto opportunamente anche il presidente della Repubblica. Non sembra però, leggendo i giornali o ascoltando le reazioni, che si sia capito cosa è veramente in gioco e cosa sia alla base di quei comportamenti.
Come avviene in genere da noi, si parla subito, e in modo generico, di fascismo o di rigurgiti di tipo fascista. È la stessa reazione infatti che in molti hanno avuto anche nei confronti di Berlusconi e del berlusconismo, presentandoli, appunto, come una nuova forma di fascismo. Sono un’analisi e un giudizio sbagliati in entrambi i casi.
Il che non toglie che Grillo e Berlusconi abbiano elementi in comune, ma di natura assai diversi. Sono entrambi un frutto della lunga, e profondissima, crisi della nostra della democrazia parlamentare, arrivata ormai a un punto di estrema gravità: o si riesce, infatti, a invertire subito la rotta oppure diventa assai difficile prevedere quale possa essere il futuro della Repubblica.
È una crisi di vasta portata, risalente agli ultimi decenni del secolo scorso, alla quale Berlusconi e Grillo hanno dato due risposte simmetriche, e al tempo stesso assai differenti, anche se entrambe ben note, sul piano storico. Il primo ha sostenuto, e propagandato con mezzi nuovi e originali, una soluzione in termini autoritari e dispotici imperniata sulla sostanziale liquidazione della legalità costituzionale e sul sovvertimento dell’equilibrio fra poteri, con una forte enfasi sul potere esecutivo e sulla funzione carismatica del leader; il secondo ha scelto di affrontare, e risolvere la crisi, ricorrendo ai principi, agli strumenti e ai comportamenti tipici delle forme di democrazia diretta.
Per essa il Parlamento ha una funzione puramente strumentale, proprio perché è una istituzione di carattere rappresentativo. Non si tratta solo del Parlamento: dal punto di vista della democrazia diretta tutti gli organismi rappresentativi hanno una funzione puramente accessoria e subalterna. Sono, come si è visto in questi giorni, un terreno di scontro, anche violento; non un luogo di discussione o di confronto. In questa concezione non esistono, infatti, rappresentanti con il compito di legiferare, ma solo delegati del popolo, ai quali devono rendere conto e dal quale essi possono essere revocati, secondo un principio «democratico» di ordine genetiste.
Nel caso specifico del Movimento 5 Stelle, c’è poi un ulteriore elemento di novità importante: il popolo è costituito dalla Rete, la quale si sostituisce alla piazza, e rappresenta – o dovrebbe rappresentare – il luogo in cui il popolo prende le sue decisioni che i delegati, in qualunque Assemblea, hanno il compito di sostenere e di realizzare. Ma se le forme cambiano, e vengono aggiornate, la sostanza non muta, ed è sempre la stessa: quella tipica della democrazia diretta, impiantata sul potere, senza alcuna mediazione, del «popolo», dei cittadini.
Quali siano gli effetti di questa concezione è verificabile sul piano storico: bruciate la forme della rappresentanza, quello che si afferma è un potere senza controllo, di tipo dispotico, incarnato in primo luogo dal capo, dal leader che diventa, in ultima analisi, il vero, e unico, depositario della volontà popolare che a lui fa capo e da lui riceve legittimità. È una sorta di circolo vizioso: da un lato, il popolo è l’unica fonte della sovranità; dall’altro, è il capo, il leader che dà forma, e voce, al «popolo» interpretandone bisogni ed esigenze, e dirigendolo verso gli obiettivi comuni, se necessario anche in modo violento, autoritario. Con un processo di trasfigurazione – reso, oggi, più evidente e più visibile, dalla presenza della Rete – la figura del leader, del capo assume in questo modo i tratti del «profeta», del «legislatore» che, con saggezza e lungimiranza, conduce il suo popolo oltre il Mar Rosso, come una sorta di «moderno» Mosè.
È un fenomeno complesso nel quale si intrecciano elementi vecchi e nuovi che qui non posso specificare. Mi interessa invece sottolineare tre punti: il Movimento 5 Stelle è un effetto diretto della crisi della democrazia italiana, e su questo piano va combattuto; la democrazia diretta di cui esso è alfiere e patrocinatore si risolve in nuove forme di dispotismo autoritario e nel potere incontrollato della leadership, fatti entrambi ben conosciuti sul piano storico; non ha alcun senso interpretare un fenomeno come questo nelle vecchie categorie del fascismo. Non serve soprattutto a comprendere il consenso che il Movimento 5 Stelle raccoglie, che scaturisce proprio dalla sua opposizione frontale agli organismi della democrazia rappresentativa resa a sua volta possibile, ed efficace, dalla crisi organica da cui essa è, da tempo, investita. È questo il suo terreno di coltura e di sviluppo: quanto più la «rappresentanza» appare impotente e senza prestigio, tanto più il principio della «delega» appare l’unica arma a di disposizione del cittadino per risolvere i suoi problemi quotidiani e anche quelli del Paesi. È per questo che, se il Parlamento funziona, o ricomincia a funzionare, il Movimento reagisce in modo violento, rompe gli argini come se fosse tarantolato: intuisce che il funzionamento degli organismi rappresentativi può essere l’inizio della sua crisi ed anche della sua fine. È un principio, verrebbe da dire, di «scienza» politica.
Se c’è una lezione da imparare dagli avvenimenti di questi giorni è dunque costituita dalla necessità e dall’urgenza di rimettere in moto il Parlamento approvando la legge elettorale e avviando il riassetto istituzionale della Repubblica più volte sollecitato dal capo dello Stato. È su questo terreno che si può contenere e sconfiggere, politicamente, il Movimento 5 Stelle, sottraendogli l’acqua in cui è cresciuto fino ad ora. Ma non c’è molto tempo a disposizione. Non so se tutti ne siano consapevoli, ma in questi mesi si sta giocando con il fuoco: in gioco è il destino della democrazia italiana; anzi, quelle che sono oggi in discussione sono differenti idee e concezioni della democrazia, e la configurazione che essa, potrebbe avere, in Italia, nei prossimi anni. È uno scontro sia politico che etico-politico: forse bisognerebbe spiegare, o ricordare a chi se ne è dimenticato, quale principio di civiltà e libertà individuale e collettiva sia la democrazia rappresentativa, quando essa è viva e vitale. Come diceva Clemenceau, è come l’aria: se ne sente la mancanza quando non ce n’è più.
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