
Sulla base dei dati storici e di sondaggio, era facile desumere che sarebbe stato impossibile raggiungere il quorum per la validità del referendum. Il suo svolgimento è stato quindi interpretato dalle forze politiche sostenitrici del Sì come un grande sondaggio sulla loro capacità di mobilitare il proprio elettorato di riferimento, insieme ad una parte dell’elettorato di centrodestra e di astensionisti cronici, per “mettere in minoranza” il governo.
Benché, va detto, quattro quesiti su cinque riguardassero norme approvate da una maggioranza parlamentare di centrosinistra, e quindi un ulteriore obiettivo esplicitamente dichiarato dei leader politici sostenitori del Sì fosse proprio sancire una netta rottura con quella stagione. In questa analisi verifichiamo attraverso l’esame dei dati aggregati e la stima dei flussi nelle grandi città in che misura gli elettorati dei vari partiti abbiano aderito alle proposte della Cgil (sul lavoro) e di +Europa (sulla cittadinanza) a cui i principali leader del “campo largo” hanno dato il loro sostegno, scommettendo o dando a vedere di scommettere su un risultato diverso. Per quanto riguarda il tasso di partecipazione, riteniamo che sia corretto comparare i dati del 2025 con quelli relativi ai referendum tenuti dopo il 1999. Per due ragioni.
In primo luogo, perché, come è noto, il tasso di partecipazione alle elezioni ha subito un calo generalizzato nel corso del tempo. In secondo luogo, perché il referendum del 1999 certificò come fosse sufficiente una piccola quota di “astensionismo strategico”, sommata all’astensionismo naturale, per sbarrare la strada ai referendum.
Il quorum in quella occasione non fu raggiunto per un soffio, sostanzialmente a causa della presenza nelle liste elettorali di molti cittadini residenti all’estero che ai referendum non votano. La posizione referendaria (di abolire la quota proporzionale della legge elettorale Mattarella) risultò battuta, nonostante fosse stata approvata da una larghissima maggioranza dei partecipanti e da una larga maggioranza degli elettori “attivi” (cioè degli elettori soliti a partecipare alle consultazioni elettorali generali).
Prima del 1999, il quorum è stato mancato solo 2 volte su 10. Dopo il 1999, è stato mancato 7 volte su 8, con l’unica eccezione dei referendum su nucleare e “acqua pubblica” del 2011, che mobilitarono trasversalmente larghe componenti dell’opinione pubblica. I referendum del 2025 hanno registrato un tasso di partecipazione (30,6% degli aventi diritto residenti in Italia; 29,9 se si considera anche il voto estero) sostanzialmente in linea con gli altri tenuti dal 2000 ad oggi: in media, tra i residenti in Italia, la partecipazione era stata pari al 34,7% se si include il referendum del 2011, del 27,3% se lo si esclude.
Nel 2025 è stata più alta rispetto al 2005 (26,0%) e al 2009 (23,7%), ma più bassa rispetto al referendum sulle “trivelle” (sull’estrazione di carburanti entro 12 miglia dalla costa) del 2016 (31,2%). Non si può dire che ci sia stato un crollo della partecipazione né, d’altro canto, che il grande investimento, politico e organizzativo, dei sostenitori del Sì abbia prodotto i risultati da essi attesi.
Per semplicità, nelle analisi che seguono consideriamo il referendum in materia di lavoro in cui i Sì sono risultati più numerosi (numero 1, reintegro dopo licenziamento illegittimo, posto che le differenze rispetto agli altri tre sono marginali) e quello sulla cittadinanza.
Nelle comparazioni con i dati di elezioni precedenti, come fatto per la partecipazione, ci riferiremo sempre ai dati relativi ai soli cittadini residenti in Italia, posto che i residenti all’estero votano ai referendum molto meno. Come è stato sottolineato da diversi protagonisti, il numero assoluto dei Sì sul primo referendum è superiore al numero dei voti ottenuti alle elezioni europee del 2024 e alle politiche del 2022 dai partiti che lo sostenevano (Avs, Pd, M5S). È anche prossimo al numero dei voti ottenuti nel 2022 dai partiti che formano la maggioranza di governo, ma inferiore al numero degli elettori del “campo largo” in quella stessa circostanza.
Quello dei Sì nel referendum sulla Cittadinanza è nettamente inferiore a tutti i termini di raffronto citati. Questo tipo di raffronto, per quanto possa apparire a prima vista significativo, e venga speso nelle varie interpretazioni partigiane del voto, va considerato con varie cautele. Segnala con certezza una sola cosa: i sostenitori del Sì hanno ottenuto un risultato migliore di quanto sarebbe stato prevedibile ipotizzando un perfetto allineamento tra le posizioni di elettori e partiti nel caso dei referendum sul lavoro e un risultato significativamente peggiore nel caso del referendum sulla cittadinanza.
Già questo è sufficiente a indicare che i risultati della tornata referendaria non possono essere interpretati come la prova di conferme o cambiamenti dell’equilibro elettorale tra i partiti. Se si vogliono leggere i risultati come indizi della “capacità di mobilitazione” degli attuali leader dei partiti del campo largo, cioè come una misura della loro capacità di mobilitare i propri sostenitori e conquistare ulteriori segmenti dell’elettorato, su singoli temi, c’è un’altra decisione da prendere riguardo al termine di paragone.
A nostro avviso, il termine di paragone più corretto, se il referendum viene reinterpretato come un “grande sondaggio” di questo tipo, sono le elezioni europee del 2024. Anche in questo caso principalmente per due ragioni. Innanzitutto, perché è più corretto comparare la partecipazione al referendum con quella registrata in occasione di un’altra consultazione generale percepita dagli elettori come di “secondo ordine” rispetto alle elezioni per il parlamento nazionale.
È noto che alcuni settori dell’elettorato partecipano strutturalmente meno alle consultazioni europee, regionali e referendarie: quelli socialmente più periferici e quelli di alcuni partiti (in particolare i Cinque Stelle). Inoltre, le elezioni europee si sono svolte in un momento in cui era già stato riavviato il percorso per creare il cosiddetto “campo largo”, era già cambiata la leadership del Partito Democratico, i 5 Stelle avevano già chiaramente optato per una collocazione nel “campo progressista”, anche entrando nel gruppo “The Left” del parlamento europeo.
Una prima analisi da cui si possono trarre indicazioni può essere effettuata con dati aggregati in relazione alle diverse aree territoriali del paese e per dimensione dei comuni di residenza. Con riguardo al primo aspetto, non abbiamo rilevato tendenze specifiche e chiaramente interpretabili in questa tornata referendaria. Le differenze registrate nel 2025 riflettono, con lievi scostamenti, tendenze già registrate nelle consultazioni precedenti riguardo ai tassi di partecipazione e di conseguenza riguardo al grado di successo del Sì.
È invece ben evidente, rispetto alle precedenti tornate referendarie, il divario tra grandi e piccoli centri. Nei comuni con più di 350.000 abitanti la partecipazione è stata questa volta di 7 punti percentuali più alta che nel complesso dei comuni e di 10 punti percentuali più alta che nei comuni con meno di 15.000 abitanti. Ma va sottolineato che si tratta di una diretta conseguenza della massiccia partecipazione al voto degli elettori del “campo largo”, notoriamente presenti in quote maggiori nelle grandi città, a fronte dell’astensione generalizzata degli elettori del centrodestra.

La fig. 2 riporta quindi il numero di Sì espressi in ciascuna categoria di comuni, in rapporto (percentuale) al numero di voti complessivamente ottenuti dai partiti del “campo largo” (Avs, Pd, M5s, Azione, Italia Viva, +Europa) alle elezioni europee del 2024. Come si vede, sul primo quesito, il “campo largo” si è per così dire “leggermente allargato”, nonostante il dissenso dei partiti liberal-riformisti (Azione, Iv, +Europa). Si è invece ristretto sul secondo, su cui i liberal-riformisti erano favorevoli e i dirigenti del M5S non hanno preso posizione.
Mentre nel primo caso la dimensione dei comuni fa poca differenza, la divaricazione nei risultati riguardo al quesito sulla cittadinanza è invece ben evidente. Va sottolineato come il dato in questione mostri che la divaricazione nell’atteggiamento degli elettori residenti in grandi e piccoli centri, con riguardo all’immigrazione, sia rilevante anche all’interno dell’elettorato di centrosinistra.

Va anche sottolineato che i dati in questione NON possono dire in che misura tale divaricazione – così come quella che riguarda l’equilibrio tra destra e sinistra – rifletta caratteristiche del “contesto urbano” (ad esempio, la maggiore o minore possibilità di interazioni, scambi, confronti) ovvero rifletta la “composizione” degli elettorati (ad esempio, la maggiore presenza nelle città di elettori altamente istruiti, impiegati nel settore dei servizi o in amministrazioni pubbliche).
Le analisi condotte dal Cattaneo a questo riguardo tendono a mettere in evidenza una netta prevalenza della seconda spiegazione. L’analisi dei flussi ci consente di dire qualcosa in più, riguardo al “grado di allineamento” tra elettori e partiti in relazione ai due temi. In questa occasione, grazie ai dati forniti dal Ministero dell’Interno, abbiamo potuto stimare i flussi con riguardo ad un notevole numero di città. Riportiamo qui sono le stime elaborate per i comuni maggiori, le quali appaiono sostanzialmente coerenti tra loro e con quelle riferite agli altri comuni per le quali le abbiamo elaborate, mettendo in luce alcune tendenze ben riconoscibili. Per le ragioni già esposte, si tratta dei flussi rispetto alle Europee del 2024. I dati riportati nelle tabelle che seguono indicano come si sono distribuiti gli elettorati dei vari partiti tra astensione, Sì e No.
È bene sempre sottolineare che si tratta di stime prodotte da un modello statistico applicato ai risultati per sezione. Non si tratta di misure sempre perfettamente “esatte”. Vanno quindi interpretate come l’indicazione di tendenze, che appaiono tanto più solide quanto più emergono in maniera ricorrente nei vari casi studiati. Guardando alle stime nel loro insieme, troviamo in primo luogo conferma del fatto che larga parte dell’elettorato di centrodestra non ha partecipato al voto, mentre il tasso di astensione risulta prossimo o pari a zero tra gli elettori che alle europee del 2024 avevano votato per Pd, Avs e M5s. Si colloca però su livelli abbastanza alti tra gli elettori dell’area liberal-riformista (Azione, Italia Viva, +Europa). Come se questi ultimi abbiano considerato i referendum un affare delle componenti “di sinistra” dell’opposizione.
In secondo luogo, è abbastanza evidente come il “relativo successo” del Sì nel referendum sul reintegro dei lavoratori licenziati sia dovuto innanzitutto alla massiccia adesione degli elettori Avs, M5S, Pd. Con qualche defezione marginale tra i dem, rivoli erratici di voto verso il Sì da componenti dell’elettorato di centrodestra (forse anche frutto di errori di stima) e un flusso significativo (qui le evidenze sono più robuste) di voti dall’astensione. Quest’ultimo fenomeno risulta attenuato ma non scompare anche se si considerano i dati delle elezioni politiche del 2022. Infine, il risultato deludente del Sì sulla cittadinanza è frutto di vari fattori.
La quota relativamente piccola di elettori dell’area liberal-riformista che ha partecipato al voto, si è schierata nettamente per il No sul primo quesito, per il Si sul quinto. Al contrario, gli elettori Cinque Stelle massicciamente per il Sì sul primo quesito, si sono divisi sul secondo: nel complesso, ma soprattutto al Nord, sembrano andati in netta prevalenza sul N0. Così come ha fatto tra il 15 e il 20% degli elettori Pd delle Europee. Ricordiamolo, questo è avvenuto nelle grandi città, dove il fenomeno del disallineamento tra le indicazioni del partito e il voto dei suoi elettori è stato più contenuto (Fig. 2). In conclusione, è alquanto azzardato proiettare il voto registrato in occasione di questa tornata referendaria su possibili equilibri elettorali futuri tra partiti e aree politiche. Il disallineamento tra il voto ai partiti registrato nelle elezioni più recenti e le scelte sui due temi della consultazione referendaria presentano tendenze molto diverse.
I piccoli incrementi rispetto al proprio bacino elettorale storico registrati sulla posizione referendaria da loro sostenuta riguardo al lavoro da Pd, Avs e M5S sono contraddetti dalle grandi perdite subite sulla cittadinanza. In ogni caso, né gli uni né le altre derivano da flussi di voto che sembrano destinati a replicarsi. L’impressione che si ricava su questo piano dai dati da noi esaminati continua ad essere quella di una sostanziale stabilità degli allineamenti elettorali registrati in occasione delle politiche 2022 e delle europee 2024.




La prima consiste nell’intervistare un campione di elettori sul voto appena dato e sul voto precedente (con i problemi connessi a tutte le forme di sondaggio elettorale, in questo caso aggravati dalle défaillances della memoria e dalla riluttanza degli intervistati ad ammettere il loro eventuale astensionismo). La seconda – la tecnica qui utilizzata – consiste nella stima statistica dei flussi a partire dai risultati di tutte le sezioni elettorali di singole città. Tale tecnica, detta «modello di Goodman», non è applicabile sull’intero paese, né su aggregati territoriali troppo ampi, quindi può essere condotta solo su singole città a partire dai risultati delle sezioni elettorali, assumendo che i flussi elettorali siano stati gli stessi in tutte le sezioni della città, a meno di oscillazioni casuali. L’errore statistico è quantificato dall’indice VR (più è elevato maggiore è l’incertezza della stima): nella situazione ottimale questo indice deve avere valore inferiore a 15. Il Cattaneo pubblica le stime dopo avere effettuato tali controlli.
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