La liturgia è sempre la stessa, le persone presenti, in parte, non sono sempre le stesse. Mario Piccolino è sempre lo stesso. Si muove in modo teatrale laddove il raccoglimento e l’attenzione sarebbero dovuti. Gira con la Nikon che non avrebbe la necessità di puntare ad un metro il compiaciuto fotografato ma la vetrina è quella: un desiderio irresistibile di essere protagonisti nel fare e ricevere foto.
Il Vescovo, che ha incominciato l’omelia, è infastidito e dall’alto dell’altare lo fulmina: non siamo su un set fotografico…basta con le foto… Il nostro ha un attimo di esitazione come a chiedersi: ce l’ha con me? Gli dico senza indugio: l’ha con te senza ombra di dubbio e non stare lì impalato, mettiti da parte! Giunge poi un tizio che lo prende sottobraccio e lo invita ad andar via. Potenza del richiamo vescovile: Mario si lascia portar via senza un fiato.
Il Vescovo narra la storia di Giovanni Battista: la sua sorprendente nascita da una madre anziana e poi Erode che lo prende a naso e lo fa decapitare per compiacere una “giovincella” Salomè.
Questa era figlia di Erodiade che pur maritata con Erode Filippo, fratello di Erode Antipa, sposa quest’ultimo che a sua volta era già sposato con la figlia del re Areta IV, re dei Nabatei (quelli di Petra). Erode menò scandalo sposando la cognata e Giovanni Battista, nella sua predicazione al popolo, lo rimproverava apertamente per quell’ illecita relazione. Possibile che fosse solo questo? Mi viene da pensare che il risvolto politico sociale del messaggio del Battista abbia avuto più peso, insomma Giovanni gli metteva contro il popolo. Eppure il santo era divenuto famoso vivendo nel deserto come un eremita, vestiva una pelle di cammello e si cibava di miele selvatico, non è stato un capopolo.
Insomma la sua fu una predicazione di testimonianza, una vita umile e sobria. Il Vescovo dice che si rivolgeva ai soldati invitandoli ad accontentarsi della loro paga, come e dire: “avete uno stipendio fisso, sicuro, gli altri non vivono e perciò accontentatevi”. Insomma in tempi di crisi la sobrietà e la solidarietà non guastano.
E qui arriva quello che possiamo chiamare lo snodo. Il Vescovo dice: “non può esserci una dicotomia tra quello che voi fate quì e come vivete la vita di tutti i giorni. Non può esserci una separazione nel venire in chiesa, andare in processione, portare San Giovanni e poi non vivere secondo gli insegnamenti di Gesù nelle azioni e nei comportamenti della vita quotidiana.” E’ un ragionamento che non fa una grinza, però non molti lo seguono. Se lo facessero, se interpretassero alla lettera quello che si afferma nel pater noster e cioè “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” saremmo una comunità di eccezionale livello civile. Non solo non si rimettono i debiti ma addirittura si strozzano le persone. Oggi Repubblica riporta, in un’ intera pagina pubblicitaria a pagamento, a nome della Presidenza della Nazione Repubblica Argentina in cui la chiosa finale termina così: “La volontà dell’Argentina è chiara: attendiamo (Corte suprema USA) una decisione giudiziaria favorevole a una negoziazione equa ed equilibrata per risolvere questa lunga e faticosa disputa che ha colpito, colpisce e continuerà a colpire il popolo argentino, per la voracità di un minuscolo gruppo di speculatori (100 miliardi di dollari).
E’ dura cambiare la testa agli uomini soprattutto quando scarseggiano di buona volontà ma S. Giovanni non dispera. Arriva a S. Giulio, passa e si ferma davanti all’Istituto per disabili e giunge infine sulla via Appia. Qui la statua fa l’inchino davanti ad un caseificio. Caspita, una volta lo faceva davanti al pastificio, simbolo del lavoro e della operosità degli uomini ma ora, davanti ad una rivendita di mozzarelle? Saranno latticini importanti! Meno male che il Vescovo un po’ corre ai ripari: quest’anno porta S. Giovanni al capezzale del malato numero uno: l’Ospedale di Formia! C’è da sperare una guarigione entro tempi brevi.
Infine la processione raggiunge il porto di levante. Qui la statua è imbarcata su di una paranza. Il pontone Spicamar di Gaeta non c’è più e così vanno solo il Vescovo, il Sindaco ed i portatori sul peschereccio ornato col gran pavese. Tutto procede secondo tradizione, c’è però attesa nell’aria. Il fuochista è quello dei fuochi notturni di S. Erasmo ma ancora non accende la miccia. Oggi è tutto elettronico, non s’accende più a mano correndo via dal mortaio. Sento parlare di colpi “scuri” in arrivo, c’è tutta una dissertazione sui fuochi, quelli visti ad Adelfia e a Sant’Erasmo. Partono i primi colpi, arrivano le spaccate colorate e potrebbe anche finire qui. Il segno della festa è dato. Ed invece no, proprio per mettere in pratica le esortazioni del Vescovo, inizia un bombardamento assordante, una cosa mai vista né sentita. La sobrietà va a farsi benedire.
Una specie di fungo atomico sorge dal molo e mi chiedo quali reazioni ci siano a bordo della paranza da parte del Vescovo e del Sindaco. Poi affiora un ricordo struggente. Ho conosciuto una famiglia sfollata per la guerra di Bosnia. Mi è rimasta impressa una signora anziana che quando sentiva i botti di San Giovanni si teneva la testa e tentava di coprire le orecchie per non sentire. Quei colpi erano tremendamente uguali alle cannonate e alle bombe ma qui è San Giovanni e dobbiamo darle a quelli di Sant’Erasmo ( dicono che il costo complessivo dei fuochi giorno/notte sia di euro 45.000). Ahi voglia a far incontrare i santi e a far prediche. FC
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