Viviamo in un Europa tanto facile agli entusiasmi quanto pronta ad allarmismi estremi. Lo sa bene il nostro paese, ormai da anni al centro di analisi nefaste e previsioni disastrose. Le recenti vicende di Francia e Spagna, i commenti degli analisti, le paure e le attese d questo primo 2014, ne sono l’ennesima conferma. Solo pochi mesi fa, infatti, l’Economist bollava come “bomba ad orologeria” la situazione del paese transalpino. Un commento che, preso alla lettera, suonerebbe come una vera condanna del quadro socio-economico francese. Ma da cosa nasce questa sfiducia? Guardando ai dati macroeconomici niente sembra motivare toni tanto accesi. Il prodotto interno lordo francese, dopo un anno di continua e lieve flessione (con un tasso di crescita appena sotto lo zero in tre dei quattro trimestri del 2013) è tornato a salire nei primi tre mesi del 2014, con un +0,6%, fino ai livelli precedenti alla crisi.
La spesa pubblica non in affanno e il rapporto debito e PIL, salito al 90,2% ma sostanzialmente sotto controllo, così come l’andamento del bilancio della repubblica transalpina, stabile anche nel lungo periodo, supportato da un tasso di natalità (12,2 nati per 1000 abitanti) più alto dei principali partner europei, non possono destare preoccupazioni tanto violente. Dove ricercare quindi la debolezza di questo sistema? Perché annoverare la Francia fra i grandi malati d’Europa? La ragione di questa sfiducia non sarebbe di natura economica ma politica. Le scelte del governo Hollande, necessarie per rientrare nei parametri di stabilità europea, di puntare su un incremento delle tasse e non su una più rigida spending review, sarebbero alla base dei dubbi sollevati da molti economisti. E’ infatti noto quanto i vertici europei, e ampi settori delle elites economiche, vedano come via principale per ottenere un bilancio statale solido e duraturo quella dei tagli allo stato sociale. In sostanza, per rientrare nei parametri di stabilità, meglio diminuire le spese che aumentare le entrate. Politica questa che non collima con le scelte dell’Eliseo e produce dunque una sfiducia altrimenti difficilmente comprensibile. Contraltare della Francia prossima al dissesto economico sarebbe, sempre secondo il pensiero di numerosi analisti, una Spagna in grande ripresa. Anche in questo caso, però, un’analisi più accurata dei dati relativi al paese iberico non può che ridimensionare gli entusiasmi. Il dato più positivo, punto di partenze di molte delle ottimistiche valutazioni sul paese, è l’andamento dei Bonos.
Lo spread fra i Bund tedeschi e i buoni decennali spagnoli è infatti sceso, all’inizio del 2014, sotto i 200 punti base, recuperando, in meno di dodici mesi, ben 130 punti. Una flessione che ha riportato il rendimento dei bond spagnoli al 3,37%, il livello più basso dal 2009, valore incredibilmente confortante se paragonato a quello raggiunto nel 2012 (7,6%) quando Madrid fu costretta a chiedere aiuto all’Europa. Ma lo spread non è, di per sé, un dato sufficiente a giustificare tanto ottimismo (semmai potrebbe esserne una rappresentazione tangibile). Viene così da chiedersi, anche in questo caso, da cosa nascano queste previsioni. La ripresa economica della Spagna, già ampiamente documentata, è infatti, a ben guardare, piuttosto tiepida. Dopo un 2013 disastroso, con un PIL perennemente in calo (che ha toccato, nel terzo trimestre, un pesante -0,8%), il 2014 è stato aperto da un positivo +0,1% ancora non sufficiente però per garantire la stabilità e la durevolezza della ripresa. La disoccupazione galoppante (con un tasso pari al 26%, molto superiore a tutti i principali partner europei) e un sistema bancario fragilissimo (travolto dal crollo del settore immobiliare e rivitalizzato solo dai 41 miliardi stanziati dalla troika) dovrebbero, già da soli, indurre ad una maggiore cautela. I dati positivi riguardano invece l’aumento degli investimenti stranieri, ben 105 miliardi negli ultimi quattro anni, e il costo del lavoro, sceso, secondo l’OCSE, di 10 punti dal 2009 ad oggi. Anche nel caso spagnolo non sembrano dunque i fattori economici a giustificare le previsioni degli addetti ai lavori quanto piuttosto quelli politici. Il governo Rajoy è infatti solidissimo e gode di una maggioranza parlamentare tanto stabile da garantirgli la possibilità di approvare anche riforme impopolari. Fra questa, la più amata dalle elites europee, è sempre quella riguardante il contenimento delle spese. L’austerity approvata dal governo spagnolo sembra così incontrare, al contrario delle decisioni prese da Hollande, il favore dell’intellighenzia economica europea e un coro, quasi unanime, di ottimismo verso il futuro. (di Giampiero Francesca da T Mag)
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