Emergenza Covid: record di contagi. La trincea ora sono gli ospedali e le terapie intensive 08 OTTOBRE 2020 di Alessandra Ziniti “la Repubblica”

ROMA – L’obiettivo immediato è contenere il virus, dare tempo agli ospedali di attivare i nuovi posti letto, garantire cure tempestive per evitare che si riempiano le terapie intensive. E, soprattutto al Sud, trovare medici e infermieri. “Mandateci operatori sanitari, mandateci volontari”, la richiesta accorata che il governatore della Campania Vincenzo De Luca ha rivolto ieri al ministro della Salute Roberto Speranza, al commissario per l’emergenza Domenico Arcuri e alla Protezione civile dopo che i contagi delle ultime 24 ore, schizzati a quota 757, hanno trainato l’aumento dei casi positivi in Italia a 4.458 con 22 nuovi deceduti.

Occhio ai numeri, quelli giusti però. A preoccupare Speranza non sono tanto i nuovi positivi di ieri. È vero che sono triplicati in un mese, è vero che sono tanti quanto ad aprile ma a fronte di un numero di tamponi raddoppiato che ha toccato la cifra record di 128.000, con un’incidenza del 3,47 per cento. Ad essere monitorati con grande attenzione sono però i numeri dei ricoveri (3.925) e delle terapie intensive (358), questi ultimi ancora bassi e certamente gestibili a fronte dei circa 9.300 posti disponibili che possono arrivare fino a 11.000 con la trasformazione della metà dei reparti di subintensiva dotati di ventilatori e con le quattro strutture movimentabili per cui la struttura del commissario per l’emergenza Domenico Arcuri ha già da settimane pubblicato il bando. Ma di fronte a questa seconda ondata il ministero della Salute non intende farsi trovare impreparato. È a quota 1.000 che scatterà il campanello d’allarme. Quando i pazienti in terapia intensiva raggiungeranno quella cifra, nelle zone in cui si dovesse riscontrare una maggiore incidenza potranno scattare i primi minilockdown.

Osservate speciali, naturalmente, le regioni del sud dove gli ospedali sono già in forte sofferenza. Campania su tutte, ma anche Sicilia e Puglia, cominciano a fare i conti con il virus come non lo avevano mai fatto durante la prima ondata. I reparti degli ospedali specializzati sono già quasi pieni, le terapie intensive per fortuna solo a metà, i piani di attivazione di altri Covid hospital stanno per partire. In stand by c’è anche l’ospedale in Fiera a Milano.

Ma non è solo una questione di posti. Quello che preoccupa è la carenza di personale sanitario ma anche l’approccio con un’emergenza in corsia, che al sud non si è mai verificata, da affrontare con strutture che faticano a rispondere in maniera efficiente anche all’ordinaria amministrazione e con sistemi sanitari atavicamente carenti. Al sud, per altro, il tasso di ospedalizzazione dei pazienti Covid è molto più alto della media nazionale del 6,6 per cento: quasi doppio quello della Sicilia con l’11 per cento, l’8,9 in Puglia mentre se si calcola la percentuale ogni 100.000 abitanti la regione con il più alto numero di ospedalizzati è il Lazio con il 13,9 per cento.

E in più l’influenza alle porte, con un’inevitabile afflusso di casi simil Covid ad intasare i reparti. Molte regioni hanno acquistato i vaccini in ritardo, le dosi non sono ancora state distribuite ai medici di base che non sanno neanche come rispondere alla prevedibile grande richiesta dei loro assistiti. Ed è chiaro che se la pressione sulle degenze ordinarie dovesse aumentare, il sistema farebbe fatica ad assicurare cure tempestive ai pazienti Covid con il rischio di un rapido aumento dei passaggi in terapia intensiva che in primavera raggiunsero cifre così elevate proprio perchè i malati non venivano curati in tempo.

È per questo che i timori per la capacità della rete ospedaliera di reggere una nuova ondata di ricoveri vanno ben oltre i numeri assoluti per fortuna ancora così distanti da quelli di aprile. Allora, a fronte di una eguale crescita di positivi, in terapia intensiva c’erano 3.000 persone e 27.000 in degenza ordinaria e le vittime erano 600 al giorno. E le decine di migliaia di asintomatici oggi testati stavano a casa o al lavoro a diffondere il virus.

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