Fuori dal Palazzo (di Alfredo Reichlin da “l’Unità”

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I l PD nel suo insieme (ma particolarmente io credo la sua sinistra) non va lontano se non esce da dispute tanto aspre quanto poco chiare e che appaiono alla gente come l’espressione di problemi interni irrisolti. Non nego affatto la necessità e il valore della lotta politica anche personale. Ma ho in testa una certa idea dei problemi italiani e mi colpisce la povertà del nostro dibattito politico. E’ troppo arretrato. Non è tale da rispondere alle inquietudini profonde della gente, non è in grado di suscitare passioni e nuove soggettività. Dopotutto la democrazia si difende così, non solo con le regole.
Perfino un uomo prudente e schivo come il Presidente Mattarella aveva sentito il bisogno di avvertire in una delle sue prime “uscite” che da questa lunga crisi sarebbe nato un mondo molto diverso da quello di prima. Un mondo in cui l’aumento delle ingiustizie e delle diseguaglianze sta diventando intollerabile e dove la grande questione è se (e come) i popoli saranno ancora protagonisti del loro destino. Alziamo la testa. Usciamo da giochi asfittici. Il nostro problema è chiarissimo. E’ come orientare il pensiero politico e il sentire intellettuale e morale dei giovani, come tornare a credere che esiste uno spazio per la sinistra, intendendo con questa logora parola, finalmente, qualcosa che assomigli a una visione del mondo e dell’uomo. Il problema non è Renzi, è che l’Ordine attuale non regge come dimostra anche la svolta a sinistra dei laburisti. Renzi o non Renzi, a me sembra che diventi sempre più necessario trovare un nuovo rapporto tra competizione e solidarietà, tra Stato e mercato, tra potere economico e società, tra ambiente e sviluppo. Pena il disastro. Al centro c’è il problema di una nuova Europa. E Attenzione, non stiamo parlando di un imprecisato futuro. Ci rendiamo conto di quali nuovi, inediti problemi sono già arrivati nelle nostre casse e già investono le nostre vite quotidiane? Di che stiamo parlando della mattina alla sera? E’ chiaro che siamo di fronte a un esodo che prefigura uno spostamento di popolazioni. Ed è qui vicino a noi che si svolge il dramma di Stati falliti e di regioni devastata da feroci guerre civili.

Tutto ciò accade sulle coste del Mediterraneo, il nostro mare. Non è esagerato, allora introdurre nel discorso politico la preoccupazione per il destino dell’Italia. Sbaglierò, sarò un socialista fuori dal mondo, ma se ragiono così anche il problema della guida del PD e della politica del governo italiano si colloca dentro questo quadro molto più ampio. Non sento l’assillo di una crisi di governo. Il bisogno che sento è un altro. E’ quello di un partito che ricominci a parlare chiaramente al paese del presente e del futuro. Vedo la necessità di un grande partito che vada oltre i vecchi confini della sinistra (figlia dello Stato nazione della vecchia Europa) il quale sia espressione di conflitti non soltanto di classe e sia capace di elaborare nuove visioni globali. Lo strumento di nuove forme organizzate di democrazia. E’ ridicolo pensare che un problema di questa natura si affronta con la scorciatoia dell’ uomo solo al comando. So bene che difendere gli equilibri costituzionali è decisivo ma non è più possibile far finta di non vedere le trasformazioni, a livello europeo, dell’ordine politico democratico in senso autoritario come conseguenza delle logiche di un’economia del debito e delle rendite finanziarie. Il problema del riformismo è questo, ha questo spessore. Non è misurabile in termini di maggiore o minore radicalità rispetto ai vecchi conflitti. Sbagliano i gruppi estremisti. Il riformismo deve avere questo ampio respiro storico. Si tratta di mettere gli italiani in grado di rispondere a sfide che mettono alla prova la loro stessa identità come popolo tra nuovi popoli. Il governo esulta per i segni di ripresa. Fa benissimo. Ma il partito non è il governo, non può essere solo il suo megafono. Deve avere un pensiero sociale, una idea delle forze reali da mettere in movimento oppure da contrastare. Non può sfuggire alla scelta tra l’essere il punto di incontro tra le forze di progresso che formano un centro-sinistra, oppure una grande macchina di tipo elettorale che si colloca al centro per assorbire una improbabile destra moderata. Stiamo attenti a non ripetere il tragico sbaglio di 20-30 anni fa quando perdemmo l’autobus del nuovo salto nell’innovazione (il digitale, la comunicazione, le reti mondiali). Fu la cinica scelta delle classi dirigenti di allora. Sempre per la paura della sinistra esse affidarono la direzione del paese a Berlusconi e al cosidetto “asse del Nord” (Berlusconi- Bossi). Con tutte le conseguenze che ancora paghiamo. Certo, restiamo un grande paese moderno ma siamo usciti dai primi posti. Non per caso la nostra base industriale ha perso tutte le grandi imprese.

Il Mezzogiorno è stato abbandonato al suo destino. Il guasto è stato profondo. Esso riguarda il rapporto della gente con lo Stato e riguarda quindi la coscienza nazionale, i valori, l’identità. Riguarda il fatto che centinaia di migliaia di giovani senza lavoro stanno emigrando per cercare lavoro all’estero. Sono osservazioni molto sommarie. Ma per dire che si è formato in Italia qualcosa di più di un blocco sociale. La pesante lotta contro i sindacati nasconde l’esistenza di ben altre corporazioni. Parlo di una situazione di intreccio e di reciproca convenienza tra una parte di ceti del Nord e una classe dirigente meridionale che incassa i trasferimenti dello Stato, spolpa i servizi e lascia la gran parte dei giovani senza lavoro. In compenso offre il Sud come un grande mercato di consumo (20 milioni di persone). Ecco perché è essenziale che il PD non venga usato come copertura e complice di questo schieramento. Ci sono dei momenti nella storia in cui il gioco cambia. Prima lo si riconosce, meglio è. Così oggi, quando per rilanciare l’economia e salvare la democrazia occorre un riorientamento politico di fondo che sia in grado di esaltare le spinte individuali e l’efficienza del sistema, ma il tutto insieme con una nuova integrazione sociale. Cominciando dal ruolo lavoro, e dal capitale umano. L’istruzione e il capitale umano non sono solo un problema della scuola ma del “sentire” degli italiani, della loro morale, della loro identità etico-politica, e quindi del rapporto cittadini Stato. Insomma l’italiano come “popolo” moderno, come nazione che ha una grande funzione attuale in Europa e nel Mediterraneo. L’Italia è entrata in una nuova Storia. La domanda è se la necessità di pensare il cambiamento in senso “forte” resta. Io credo di sì. Per la fondamentale ragione che la nuova sovrastruttura politica sociale e intellettuale che si sta formando non può non riflettere nuovi rapporti di produzione. La storia non è finita, il mondo sta cambiando in un modo impressionante. Se la politica si chiude nel suo Palazzo a che serve?

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