“l’Unità”: Bajani, «Il giornale deve vivere Non può bastare la Rete»

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Un giornale che chiude è un altro metro di strada lasciato all’avanzata del Dilettantismo, alla dittatura dell’Anonimato. Questo prima di tutto. È il fallimento di chi pensa che tra l’opinione di Qualcuno e l’opinione di Uno Qualsiasi ci sia ancora una differenza, e non perché – come il finto discorso democratico di oggi vorrebbe – il Qualcuno conta di più, ma perché quel Qualcuno sa di più dell’Uno Qualsiasi. Ovvero: ha studiato di più, ha esperito di più, ha più ore di volo, di navigazione, di lettura, di riflessione, di pensiero, di pratica.

Un giornale che chiude è la definitiva rassegnazione all’idea demagogica che tanto dentro la Rete c’è tutto quello che serve, e che mettendo insieme briciole di pensiero anonime, informazioni smozzicate chissà da chi, si faccia lo stesso di quel che può fare un giornale con firme scritte in testa o in calce a un articolo. Se non meglio, addirittura, come vuole la roboante retorica demagogica: perché nella Rete è tutto più libero. Questo vale, penso, per un qualsiasi quotidiano che chiuda.

Detto per l’Unità, tutto ciò significa il collasso di quello che il suo fondatore chiamava Egemonia. Che tradotto oggi vuol dire che quello che fallisce – alla chiusura di un giornale – è l’idea che ci si possa fidare di qualcuno in virtù della sua storia, della sua coerenza, del nome che porta e di tutte le cose che dentro quel nome ha fatto stare giorno per giorno, lavorando. Della faccia che ci ha messo, e di conseguenza della responsabilità che si è assunto ogni volta che ha digitato delle parole per dire qualcosa che aveva visto o pensato. Il che significa, in definitiva, il fallimento di un’idea di Comunità e naturalmente di un’idea di Politica. E la rassegnazione a vederle – entrambe – trasformarsi in uno sciame di persone sole e piene di paure che non si fidano più di nessuno e setacciano giorno e notte la Rete alla ricerca di qualcuno che la pensi come loro. E quando l’hanno trovato, cliccano su Mi piace, e poi vanno a dormire più sole e spaventate di prima.

Quello che succede, ogni volta che chiude un giornale, è la vendetta del Dilettante. Il quale, come scrive la scrittrice croata Dubravka Ugrešic nel suo Cultura Karaoke, «si è sollevato contro la dittatura degli esperti»: ha preso il microfono, ha aperto un blog, ha commento un editoriale, ha diffuso una valanga di parole sulla sua pagina Facebook, sapendo che la sua forza risiede «nell’anonimato, nell’irresponsabilità».

È la sua vittoria, la chiusura di un giornale, dal momento che lui «sostiene meno l’idea democratica che ‘tutti possono se vogliono’ di quanto non sostenga la prassi democratica che ‘tutti vogliono visto che possono». È la sua vittoria, e la sconfitta di tutti. Il Dilettante, come scrive Dubravka Ugrešic, «ha i suoi blog, la rete dei suoi lettori (…), e nessuno può richiamarlo alle sue responsabilità, perché è anonimo. (..) Ed è in maggioranza, in questo consiste la sua forza». Ecco, io penso che se l’Unità dovesse chiudere – cosa che non mi auguro – sarebbe la resa definitiva non solo al Dilettantismo e all’Anonimato, ma soprattutto alla solitudine dei cittadini. La condanna a pensarli – a pensarci – tutti chini a tentare di costruirci da autodidatti, ovvero senza competenze, un Presente improvvisato, da cui non può che derivare un Futuro a casaccio, con tanti Mi piace e pochi contenti. Certo, per combattere l’Anonimato bisogna riprendersi il Nome, e questa è la parte più dura, e però l’unica strada autenticamente percorribile.

Bisogna che l’Unità si chieda – e che ci chiediamo tutti noi che su questo e su altri giornali mettiamo la firma e la faccia – se davvero le sue, e le nostre, parole sono credibili, se lo è il suo Nome, la sua storia. Solo così possiamo combattere l’Anonimato, il Dilettantismo, e essere davvero in grado di opporgli qualcosa: una responsabilità, una comunità. E non metterci soltanto in concorrenza, chiedere una pioggia di Mi piace per scongiurare una chiusura.

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