Il voto del cambiamento e la buona politica Pubblicato il 26 giugno 2016 da Giovanni Cominelli

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E’ stato un voto per il cambiamento: questo il commento pressoché unanime dei risultati delle elezioni amministrative, ma anche della Brexit. Peccato che non si tratti di una spiegazione. È solo il nome di un imbarazzo.

FACILE CAMBIARE I POLITICI. DIFFICILE CAMBIARE LA POLITICA

Cambiare i politici pare relativamente facile. Cambiare le politiche, sospetta Romano Prodi, è più difficile. E poi che cos’è la politica? È la politic o è la policy? È la Politica o sono le politiche? È il rappresentare o l’amministrare? Qual è la sequenza logico-psicologica che ha spinto molti elettori a determinare le brillanti vittorie del M5S a Roma e, soprattutto, a Torino?

Il punto di partenza da cui muove l’elettore è quello della percezione dell’impotenza della politica oggi, così come è fatta, con i suoi partiti, le sue facce, le sue tradizioni, il suo insediamento sociale. “Impotenza” in ordine alla sfide, alle paure, alle insicurezze, all’esclusione.

Molte persone sperimentano una doppia esclusione: quella socio-economica e quella politica. Quella economica, che nasce, per usare l’espressione di Romano Prodi, dalla percezione che l’ascensore sociale si è bloccato e che dentro si soffoca: sviluppo debole, futuro incerto, impoverimento possibile.

Quella politica: mancanza di strumenti efficaci per tentare di modificare la propria condizione. La scatola degli attrezzi contiene solo la scheda elettorale. Ma il suo uso ripetuto e inefficace ha convinto molti elettori a disertare le urne: un’astensione che tende al 50% dell’elettorato. È il bacino di accumulazione originaria delle rabbie, delle delusioni, del rifiuto della politica come via al cambiamento della propria condizione.

LE RISPOSTE DEL QUALUNQUISMO E DEL POPULISMO

Tuttavia, sotto la cenere della delusione resta viva la brace della domanda politica. Il cosiddetto qualunquismo è portatore di una domanda politica, che si chiude momentaneamente nel silenzio, in attesa della risposta convincente. E’ una risposta passiva.

Il populismo è, invece, una risposta attiva e perciò politica. E’ ora di cambiare! L’idea di fondo è che popolo e istituzioni sono divenuti strutturalmente contrapposti, il basso e l’alto. Bisogna mettere il popolo in alto, dentro le istituzioni. Il popolo deve controllare le istituzioni. Come?

Attraverso l’azione politica. Che consiste principalmente nell’eleggere nelle istituzioni elettive propri rappresentanti che mandino a casaquelli della casta che finora ha occupato le istituzioni, senza essere in grado di risolvere i problemi dell’esclusione socio-economica e politica.

IL BUON POLITICO NON HA FATTO POLITICA. POI ARRIVA CASALEGGIO

Il primo criterio di scelta di tali rappresentanti è che non abbiano mai fatto esperienza precedente di impegno politico in un qualsiasi partito o istituzione. Devono essere vergini di servo encomio rispetto ai partiti storici e alle istituzioni. Se uno non ha mai fatto né politic né policy, se è totalmente nuovo, allora è il candidato giusto.

E qui entra in campo la Rete o, per meglio dire, il Movimento che la gestisce. Qui tocca a Rousseau – il sistema informatico di Casaleggio jr. – scegliere i candidati! E’ questa la forca caudina occulta. Ora, a chiunque vada a zonzo nella Rete, la politica viene incontro prevalentemente come emozione, invettiva, denuncia, rabbia, insulto…

E le proposte di policy? Quelle sono incerte, plurali e reciprocamente contraddittorie. Le proposte su immigrazione, sicurezza, welfare, Europa, istituzioni, Costituzione, legge elettorale… sono, al momento, strumentali e consapevolmente ambigue, ad un solo fine: accumulare consenso.

PER CAMBIARE NON SI SA COSA

Per cambiare. Ma cosa, come?… questo la nuova politica non lo dice o perché non lo sa o perché non lo vuole furbescamente dire. Sarà costretta a farlo, perché, infine, la prova del budino consiste nel mangiarlo.

Resta una domanda? Come è possibile che la politica sia passata dall’intelligenza delle cose all’emozione delle cose? La politica e l’amministrazione si sono sempre fondate sulla conoscenza dei dati di realtà, ancorché spesso onnubilata dalle ideologie– che sono costruzioni di modelli mistificati della realtà – che stavano alle spalle.

La conoscenza, a sua volta, era costituita dalla realtà vista in modo sincronico e diacronico, immersa nel sapere storico consapevole. Se la politica degrada, a livello di massa, dal sapere alla rabbia, dalla razionalità all’emozione, grande è il fallimento di chi l’ha fatta, finora, grandi sono le responsabilità politiche, culturali, educative delle classi dirigenti, politiche e non, del Paese. Incolpare il popolo aiuta poco.

LA BREXIT. “STIAMO CONSUMANDO LE SEMENTI”

Tocca alle classi fin qui dirigenti cambiare. L’eredità dei nonni costituenti è stata malamente sperperata dai loro figli. Ora, come scrisse Karl Barth nel 1925, stiamo consumando le sementi. La Brexit conclude simbolicamente il dopo-guerra in Europa. Viene avanti un mondo diverso da quello immaginato. Tornare a guardare la cosa stessa, spogliando il cuore e l’intelletto dei detriti. E’ la raccomandazione di Baruch Spinoza: Humanas actiones non ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere ( le azioni umane non vanno derise, compiante o detestate, ma capite.)

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