“Piazza Grande” (Feltrinelli): le riflessioni sul momento poitico attuale e le prospettive del Partio democratico di fronte alla crisi del M5s

Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio e Segretario Nazionale del Partito Democratico

“Eppur si muove.” Nelle condizioni difficili di cui ho parlato, oggi la situazione politica pare in movimento. Il governo ha via via dimostrato di non essere all’altezza e sta portando l’Italia in un vicolo cieco. La crescita si è fermata. Anzi, siamo in uno stato di recessione. La disoccupazione giovanile aumenta ogni giorno. La produzione industriale è in flessione e anche l’export arranca.

La Lega e i 5 Stelle, con il loro accordo di potere, hanno collaborato solo per distruggere, senza alcuna strategia sul futuro dell’Italia e con l’esclusiva preoccupazione di mantenere le rispettive promesse elettorali. I pochi interventi, anche condivisibili nelle intenzioni, si stanno realizzando nei modi peggiori e senza alcuna realistica previsione di copertura di bilancio.

È come se le forze di governo si occupassero solamente di conservare un consenso a breve termine, fino alla prossima prova elettorale, non curandosi minimamente di quello che accadrà dopo di loro.

I tecnici più competenti parlano di una manovra obbligata in autunno per un valore che va dai 30 ai 35
miliardi di euro. Ci saranno ulteriori tagli ai servizi, allo stato sociale, agli investimenti, e si ricorrerà a
nuove pesantissime imposizioni fiscali. È la consapevolezza di dover fare presto, agendo in modo quasi rapinoso, che sta determinando tra Lega e 5 Stelle una sorta di implosione. Aumentano i conflitti tra alleati e prevalgono la paralisi, l’incertezza e lo scarico di responsabilità. Le difficoltà del governo – questo a me pare l’elemento più significativo – mettono in tensione ed esaltano le differenze tra i diversi elettorati dell’alleanza gialloverde.

La Lega è una formazione politicamente organica, radicata nei territori, con una discreta classe dirigente di amministratori, politicamente e idealmente colllocata tra le forze europee sovraniste e di destra che stanno diffusamente crescendo in Europa. La destra è il vero roccioso avversario che le forze democratiche si trovano di fronte.

Il Movimento 5 Stelle è, al contrario, un campo disomogeneo, precario e assai variegato, tenuto insieme dalla “rete” e dal sentimento dell’antipolitica.

La prima si muove con inquietante coerenza. Ha obiettivi chiari e su di essi suscita un’escalation di
mobilitazione pratica e comunicativa. Il secondo, al contrario, di fronte ai segnali contrapposti che giungono dall’esecutivo, si sta disorientando. Tende a sfarinarsi, per ora cannibalizzato dal suo alleato più potente, che agisce come una calamita nel complessivo elettorato di centrodestra.

Sono convinto che queste dinamiche in prospettiva porteranno a una progressiva “salvinizzazione” delcampo a noi avverso. Contemporaneamente, il movimento di Grillo è destinato a ridursi ancora di più.

Poiché privo di un vero gruppo dirigente i momenti difficili lo porteranno a un generale “rompete le righe”; ma anche perché se l’affidamento alla “rete” è straordinariamente produttivo per conquistare ulteriori consensi nei momenti di crescita, esso agisce, invece, come amplificatore della crisi quando soffia un vento contrario.

I 5 Stelle sono destinati a scomporsi. I loro elettori vireranno un po’ a destra, un po’ verso
l’astensionismo e un po’ saranno costretti a rivolgere lo sguardo verso di noi.

Se è realistico il quadro descritto, dobbiamo comprendere bene i pericoli che abbiamo di fronte e la portata storica del voto negativo del 4 marzo dello scorso anno. E, con la testa sgombra dai pregiudizi e
dalle storie del passato, cogliere i possibili spazi che si aprono per la nostra controffensiva.

I pericoli determinati dalla nostra sconfitta risiedono nel consolidamento in corso di una nuova de-
stra che l’Italia, dopo la guerra di Liberazione, non aveva mai conosciuto. Ristabiliti i rapporti di forza
con i 5 Stelle, la Lega imporrà nella scena politica la sua vera natura. Dividere il Paese tra Nord e Sud. Isolarlo dall’Europa e dall’Occidente democratico. Ristrutturare l’Italia, a partire da una visione classista di difesa dei ceti più forti e ricchi, mascherando il pugno di ferro con provvedimenti populisti elargiti per ragioni propagandistiche e di consenso.

Questa è la vera sostanza di Matteo Salvini. Che viaggia sulla spinta di un vitalismo, di una rozzezza popolaresca, di un’identificazione con i più banali stereotipi italiani, che in quanto a efficacia non dobbiamo affatto sottovalutare.

Infine, il pericolo più grande – e nuovo – sta nel tentativo della destra di una complessiva ricollocazione geopolitica, culturale e ideale dell’Italia. Il distacco netto, persino sprezzante, dalle grandi democrazie europee e occidentali. Il deragliamento, dunque, rispetto al percorso che la nostra Repubblica ha realizzato dal dopoguerra, concorrendo alla nascita delle costituzioni democratiche e di emancipazione, fondamento dell’unità europea. Un’idea della società, dell’etica, dei diritti più vicina ai Paesi autoritari e sovranisti che si ergono in varie parti del mondo.

Se dovesse prevalere questa visione, per l’Italia sarebbe una discontinuità negativa di enorme portata.

Sarebbe una frattura che non ci porterebbe alla Terza Repubblica. Ma fuori dallo spirito e dalla sostanza
della nostra Repubblica.

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Se la Lega è il vero pericolo con il quale confrontarsi, la crisi in corso dei 5 Stelle, al contrario, interroga noi e, a certe condizioni, rappresenta un’occasione. I vari risultati dei voti regionali hanno segnalato una nostra ripresa rispetto al voto politico del 4 marzo dello scorso anno. In Basilicata la coalizione di centrosinistra ha ottenuto il 31 per cento di voti, rispetto al 19,65 delle ultime elezioni politiche. In Sardegna il 30 per cento rispetto al 17 per cento. In Abruzzo il 30,6 per cento rispetto al 17,6 per cento.

Il dato è confortante ed è il punto di partenza di una ripresa più robusta che dobbiamo realizzare nel
prossimo voto europeo. Tuttavia, l’inversione di tendenza che ci riguarda è infinitamente ridotta rispetto al vero e proprio crollo elettorale del partito di Grillo. Insomma: non è affatto automatico e neppure facile un travaso consistente di voti verso di noi.

La verità è che ancora non riusciamo a riprenderci il popolo che se n’è andato. Troppo grande è stata la
rottura. Anche sentimentale. Abbiamo sottovalutato, per esempio, il vero significato del voto sul referendum. In molte aree d’Italia non abbiamo perso per il merito, ma per la distanza che avevamo marcato con il Paese reale.

Quando a Scampia, o in altri quartieri popolari di Napoli, il voto a favore del No al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 dilagò con forza prorompente, non furono certo i sofisticati dissensi di caratttere istituzionale a determinarlo. Ma il desiderio di contrastare la forza principale che proponeva il Sì, avvertita come espressione degli strati sociali protetti e di un mondo ormai estraneo.

Guai a dare una stampella a Di Maio. Egli va inchiodato alle sue responsabilità. E i 5 Stelle devono consumare fino in fondo la loro possibile, e auspicabile, deriva. La questione, più semplicemente, consiste nel saper interloquire con i loro elettori delusi, in libera uscita, disorientati e in cerca di nuovi punti di riferimento. Occorre trovare le parole giuste, dimostrando un sincero interesse per la loro sorte e uno sforzo di comprensione delle ragioni che sono state alla base delle scelte illusorie che hanno compiuto. Occorre passare dalla propaganda autocelebrativa, che è durata troppo tempo, a una battaglia ideale e culturale costruttiva e a un’iniziativa di opposizione in grado di creare spazi, di allargare contraddizioni, di sfidare in positivo le forze di governo a fare bene, di indicare
un’alternativa che vada oltre la denuncia delle cose che non vanno.

***

Il Pd ha due compiti principali. Simultanei e intrecciati tra loro.

Riconquistare il nostro elettorato, in particolare quello più dolente e sofferente, e, allo stesso tempo, creare le condizioni di un campo il più esteso possibile di resistenza e di controffensiva democratica alla Lega.

Se non riconquistiamo le basi ampie di un nostro insediamento, Salvini dilagherà. Se non sapremo far
avanzare i confini di un orientamento, repubblicano e liberale, anche la riconquista di quell’insediamento non basterà. E Salvini dilagherà. La nostra azione si deve dispiegare con un doppio
passo. La vocazione maggioritaria, che non intendo per nulla abbandonare, non va declinata come l’irrealistica ambizione di occupare tutto lo spazio alternativo alla destra. Piuttosto va intesa come la riproposizione della natura di fondo del Pd che non si esaurisce nel ristabilire una indispensabile rappresentanza degli interessi del mondo del lavoro nel conflitto sociale, ma che esprime anche l’ambizione di una visione inclusiva, nazionale e democratica che promuova un passo in avanti della società nel suo insieme. Rivendicando con orgoglio, molto più di quanto abbiamo fatto negli ultimi vent’anni, il punto di vista di una sinistra riformatrice e moderna.

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Tra il popolo potremo nuovamente radicarci quando gli effetti dell’alleanza gialloverde arriveranno a peggiorare le condizioni di vita dei cittadini e toccheranno le “saccocce” degli Italiani. E quando la “salvinizzazione” dell’insieme del centrodestra rappresen- terà le “colonne d’Ercole” che tanti moderati o anche conservatori liberali avranno difficoltà a superare.

Insisto: la nostra apertura e inclusività come Pd non può trasformarsi in egemonia verso tutti i nostri
possibili alleati, o peggio in settarismo. Il nostro obiettivo è dare ariosità al campo democcratico. È determinare un’amicizia, in una serena competizione, tra tutte le forze che si oppongono in diversi modi a una svolta autoritaria. Questo è il nostro compito. Da Democratica 8 Maggio 2019.

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