Un bilancio del «dare e avere» con l’Europa per ritrovare un nuovo protagonismo dell’Italia (CENSIS)

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Siamo il terzo contribuente netto dell’Ue, pur essendo al 12° posto per Pil pro-capite: nel 2012 versati 16,4 miliardi di euro e ricevuti indietro 10,7 miliardi, con un saldo negativo di 5,7 miliardi. Restiamo un mercato molto appetibile e diamo un forte contributo alla competitività europea

Roma, 19 marzo 2014 – L’Italia è il terzo contribuente netto dell’Ue. Il budget annuale dell’Unione europea è di circa 140 miliardi di euro, ovvero poco più dell’1% del Pil complessivo degli Stati membri. Il contributo italiano alla formazione del bilancio comunitario è pari a circa il 12% del totale. Le risorse versate dall’Italia all’Ue sono aumentate dai 14 miliardi di euro del 2007 ai 16,4 miliardi del 2012, mentre gli accrediti effettuati dall’Unione nel periodo si sono aggirati intorno ai 9-11 miliardi all’anno, determinando così un consistente saldo a nostro svantaggio: 6,6 miliardi nel 2011, 5,7 miliardi nel 2012. Sono 12 i Paesi che versano più di quanto ricevono. Il maggiore contribuente netto è la Germania, con un valore cumulato nel periodo 2007-2012 di 52,7 miliardi di euro e un saldo medio annuo negativo per quasi 9 miliardi. Al secondo posto c’è la Francia, con un valore negativo cumulato pari a 33 miliardi di euro e un saldo medio annuo negativo di 5,5 miliardi. L’Italia è il terzo contribuente netto, con 26,7 miliardi di euro cumulati nel periodo e in media 4,5 miliardi all’anno, nonostante noi occupiamo il 12° posto in Europa in termini di Pil pro-capite (25.600 euro per abitante rispetto ai 31.500 euro dei tedeschi e ai 27.700 dei francesi). Nel 2012, in particolare, abbiamo versato 16,4 miliardi di euro e abbiamo ricevuto indietro 10,7 miliardi, con un saldo negativo di 5,7 miliardi. Fra i percettori netti si collocano ai primi posti la Polonia (con 47 miliardi di saldi cumulati nel periodo 2007-2012 e una media di 8 miliardi all’anno), la Grecia (con 27,6 miliardi complessivi e un dato medio annuo di 4,6 miliardi), la Spagna (18,7 miliardi in totale e 3,1 miliardi in media all’anno).

Speso il 52,7% dei fondi comunitari a noi destinati. La dinamica degli accrediti risente anche della capacità progettuale e gestionale dei fondi europei da parte delle autorità italiane. Attraverso i diversi fondi strutturali di derivazione comunitaria e nazionale, nel periodo 2007-2013 l’Italia ha finanziato 52 programmi, per un volume iniziale di risorse pari a 59 miliardi di euro nei 7 anni di riferimento. Oggi l’importo complessivo risulta pari a 47,7 miliardi e il contributo proveniente dall’Unione europea si attesta sui 28 miliardi. Considerando la spesa certificata a partire dal 2009, a fine 2013 risulta assorbita una quota del 52,7%.

Restiamo un mercato molto appetibile. Un rafforzamento del potere contrattuale dell’Italia nei confronti dell’esecutivo europeo e degli altri Paesi potrebbe provenire da un’attenta ricognizione di ciò che significa per l’Europa comprendere al proprio interno un territorio il cui peso economico e produttivo va al di là del mero rapporto dare-avere registrato dal budget finanziario dell’Ue. Essendo in termini di Prodotto interno lordo la quarta economia europea, l’Italia rappresenta il 12,6% dei consumi finali delle famiglie nei 27 Paesi membri, per un ammontare di circa 1.000 miliardi di euro. E siamo al quinto posto per numero di passeggeri del traffico aereo, con una quota sul totale europeo pari all’11,3% e un valore assoluto che supera i 116 milioni di passeggeri. Questa domanda si riflette in un rilevante livello di importazioni interne all’Unione, pari a 200 miliardi di euro, ovvero il 7,3% del totale delle importazioni interne (si tratta di una cifra vicina all’intero Pil della Grecia e superiore a quello della Danimarca o della Finlandia).

In termini di potenziale della domanda, l’Italia si colloca al secondo posto in Europa per sottoscrizione di contratti di telefonia mobile, con un valore pari a 98 milioni e una quota del 14,8% sul totale dei contratti sottoscritti all’interno dei 27 Paesi. Siamo quarti per numero di linee telefoniche principali (21,6 milioni di linee) e per numero di abbonamenti alla banda larga fissa (13,6 milioni di contratti), preceduti in entrambi i casi solo da Germania, Francia e Regno Unito. Nel 2012 il settore delle telecomunicazioni ha generato ricavi superiori a 43 miliardi di euro (quarta posizione in classifica). La società italiana è solida. La quota sul Pil del valore degli immobili di proprietà in Italia è pari al 9,1%: questo dato ci pone in cima alla classifica europea. Sul piano della ricchezza finanziaria netta, gli italiani presentano un valore che è più di due volte e mezzo il reddito disponibile (quinto posto in Europa).

E diamo un forte contributo alla competitività europea. L’Italia si conferma la seconda economia manifatturiera europea in termini di valore aggiunto (216 miliardi di euro nel 2012) e in base al numero di imprese: 422.000, pari al 19,9% di tutte le imprese manifatturiere europee, che occupano quasi 4 milioni di addetti, preceduti solo dai tedeschi, con poco più di 7 milioni di addetti. Con circa 370 miliardi di euro esportati nel 2012, il manifatturiero italiano si pone al quarto posto nell’export in Europa. E l’Italia realizza il quinto saldo positivo della bilancia commerciale nell’Unione europea, con un valore vicino a 11 miliardi di euro. Siamo terzi per produzione lorda di energia da fonti rinnovabili. Mentre siamo al primo posto nei prodotti agroalimentari di qualità, disponendo di 248 marchi certificati (la Francia è seconda, con un numero di prodotti di qualità molto inferiore: 192), e terzi per numero di aziende biotecnologiche.

Se è vero che lo scenario di un’uscita dell’Italia dall’euro appare nei fatti non praticabile e non auspicabile, è anche vero che una diversa rappresentazione del ruolo e del peso dell’Italia nell’Ue, che vada oltre i freddi meccanismi di determinazione degli obiettivi di finanza pubblica così come sono oggi stabiliti, potrebbe condurre a una più chiara identificazione del potenziale di crescita complessivo dell’Unione europea, dei cui benefici si avvantaggerebbero non solo i cittadini italiani.

Questi sono alcuni dei risultati del rapporto «Dare e avere con l’Europa» realizzato dal Censis nell’ambito dell’iniziativa annuale «Un giorno per Martinoli. Guardando al futuro». La ricerca è stata presentata oggi a Roma, presso il Censis, da Giuseppe De Rita e Giuseppe Roma, Presidente e Direttore Generale del Censis, e discussa da Sandro Gozi, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega alle politiche europee, Paolo Savona, Vice Presidente Vicario dell’Aspen Institute Italia, Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo.

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