“Salutami l’Italia” (da “Il Sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern)

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Doveva essergli capitato quella notte che fecero la retroguardia.
Se era freddo! Non si può dire quanto,
ma era abbastanza perchè la pelle delle dita,
nel manovrare la pesante,
restasse attaccata a pezzettini sul ferro dell’arma.
Solo che per i piedi si era accorto il giorno dopo quando,
nell’isba, al caldo, incominciarono a disfacersi;
sicchè brandelli di carne si staccavano assieme alle calze.
Fu allora che decise di fare a strisce
la coperta per ripararsi i piedi e abbandonare
le scarpe ormai inutili.
I suoi compagni di squadra lo aiutarono a venire avanti
e quando era stanco, ma solo allora,
si appoggiava a l’uno o all’altro.
Poi un giorno
furono raggiunti dai conducenti dello scaglione
di combattimento e il tenente lo fece salire su un
mulo. Più indietro c’erano anche le slitte con i feriti,
ma lui si sentiva più sicuro vicino ai compagni
del plotone mitraglieri.
Andarono avanti così per due o tre giorni, forse
quattro; ma capiva anche che la cancrena gli saliva
verso i ginocci perchè stentava a reggersi sul basto.
Quella notte già si vedeva un villaggio poco lontano:
alberi e profili di isbe si stagliavano contro il cielo
stellato e freddissimo. “Ci fermeremo là
– pensava – e dirò al tenente che domani
aspetterò le slitte con i feriti. Ormai non ce la
faccio più”.
Un mulo vicino cozzò leggermente contro il suo
che ebbe un piccolo sbandamento, non riuscì
a reggersi e scivolò giù nella neve a lato della pista.
Credette di gridare, di richiamare i compagni
perchè lo venissero a rialzare e ricaricarlo sul mulo;
ma dalla sua bocca non uscì nessuno suono. Guardò
gli amici che si allontanavano nella notte
freddissima e tersa “è proprio finita” – pensò – e credette di gridare “Salutatemi l’Italia!”
Quando arrivarono al villaggio si accorsero che lui non c’era più.

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